Ricette - Soleluna Verona

Broccolo Fiolaro di Creazzo

 

I leori

Il Broccolo fiolaro di Creazzo è una varietà, delle circa 70 esistenti, di broccolo (famiglia delle Cruciferae o Brassicaceae) coltivata sulle colline esposte a sud (max 200 metri slm) che sorgono intorno a Creazzo, cittadina in provincia di Vicenza che, in epoca romana, era un importante centro commerciale perchè si trovava sulla via Postumia, collegamento fra 2 importantissimi porti e cioè Genova ed Aquileia.
E’ così chiamato perchè sul fusto della pianta sono inseriti dei germogli che in dialetto vengono chiamati “fioi” cioè figli.
 

Mais

Questo ortraggio era conosciuto fin dai tempi dei romani e Catone il vecchio ( 234 ac - 149 ac), strenuo difensore delle tradizioni romane e della vita in campagna, ne parla nei suoi scritti esaltandone anche le proprietà medicamentose.
Importato dai veneziani qualche secolo fa nell’alto vicentino, ha trovato sulle colline di Creazzo l’ambiente ideale per la crescita, sia per l’esposizione a sud ,che per la qualità del terreno sciolto, ben azotato.

bottiglie e bicchiere

Viene seminato in semenzaio verso giugno e trapiantato verso la fine di agosto inizio settembre.
La raccolta si fa da novembre a febbraio nel periodo delle gelate in quanto la pianta è in grado di difendersi fino a temperature di - 7 o -8 gradi.
Si dice che i broccoli più buoni siano quelli che sono stati più al freddo in quanto, per difendersi dal gelo, limitano il contenuto di acqua e il gusto diventa più dolce.
Conosciuto per il suo gusto particolare, al broccolo fiolaro, come molte altre piante della famiglia delle brassicacee, sono riconosciute da sempre proprietà nutrizionali perchè ricco di magnesio e potassio che aiutano nelle prevenzione dell’ipertensione e proprieta medicamentose in quanto ricco di antiossidanti, sostenze che aiutano la prevenzione dei tumori.
La pianta era molto coltivata nel 1700 - 1800 e anche Johann Wolfgang von Goethe nel 1786 ne rimase colpito in una sosta nel vicentino durante il suo viaggio in Italia.
 
Ricetta
 

https://www.solelunaverona.it/blog/ricette/91-verdure-verdi-saltate-2.html

 

I germogli

 Da: Ricette per le 5 stagioni

Giuseppe Sivero - Shiatsu Milano Editore

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Facili da produrre, contengono grandi quantità di proteine (fino al 35%), vitamine (un aumento fino al 1400%) e sali minerali (calcio, magnesio e altri). Non perdono in contenuto nutritivo nel tempo, sono facilmente assimilabili, alcalinizzanti e ricchi di enzimi metabolici vitali.

Sono, insomma, degli ottimi integratori alimentari che aiutano a combattere i radicali liberi e a far funzionare meglio tiroide, reni, polmoni e fegato. Ne bastano piccole quantità giornaliere per ottenere un’ottima integrazione all’alimentazione quotidiana.

In oriente si parla di germogli fin dal 5000 a.c. per le loro proprietà antinfiammatorie, e nel “Shen Nong Ben Cao Jing” (Classico sulle Radici di Erbe del Contadino Divino, 2800 a.c.) vengono raccomandati per disturbi digestivi, dolori vari e malattie della pelle.

Nella fermentazione si liberano una grande quantità di enzimi, proteine che hanno il compito di agevolare reazioni chimiche indispensabili per tutti i processi metabolici come per es. la digestione e la rigenerazione dei tessuti.

Inoltre vengono rese disponibili sostanze di difficile assimilazione: la fermentazione scinde legami molecolari che il processo digestivo non riesce a scindere moltiplicando la presenza di minerali negli alimenti.

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Germogliazione in un barattolo di vetro

Sterilizzare il barattolo di vetro. Più grossi sono i semi e più grosso deve essere il barattolo.

Mettere i semi nel barattolo, ricoprirli con due o tre dita d'acqua (per i semi più mucillaginosi, come quelli di rucola o di lino, è possibile omettere l'ammollo) e lasciarli in ammollo da 6 a 24 ore in base alla grossezza.

Mettere il barattolo al buio, ricoperto da un telo ma senza coperchio.

Trascorso il tempo necessario, ricoprire con una retina fine (ad esempio una garza), da fissare con un elastico in modo che i semi possano essere scolati facilmente capovolgendo il barattolo.

I semi dovranno essere risciacquati 2 o 3 volte al giorno, coprendoli di acqua e mettendo il barattolo inclinato in modo che tutta l’acqua possa uscire.

Il barattolo va conservato in un posto poco luminoso ed esposto alla luce del sole per alcune ore prima di iniziare a consumarne il contenuto.

I germogli inizieranno a spuntare dopo 1 o 2 giorni e saranno pronti dopo 3-5 giorni a seconda dei semi di partenza, della temperatura e dell’umidità dell’ambiente.

Potranno essere conservati in frigorifero in un contenitore dai 5 ai 7 giorni senza problemi.

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Germogliazione nella bambagia

Questo tipo di germogliazione è più indicato per i semi più grossi (ceci, fagioli ecc.)

Ammollare i semi per 24 ore.

Mettere uno strato di bambagia su un piatto piano, inumidirla e aggiungere i semi scolati.

Tenere la bambagia umida (non bagnata) fino a quando i semi non sono germogliati.

 Germogli bambagia

Il Miglio

Il miglio (Panicum miliaceum) è un cereale che proviene probabilmente dall’India. Ancora molto coltivato in Africa e Asia (in occidente è una coltura marginale), è particolarmente adatto ai terreni poveri e alle zone più aride.
Prima dell’avvento del mais (coltivato in Italia da dopo il 1500 circa), in Italia era il cereale più usato dalle classi più povere e considerato un buon sostituto della carne nei periodi di astinenza o di carestia. Usato sotto forma di farina per la difficoltà a separare la crusca dalla parte amidacea, con il miglio si preparavano perlopiù polente, alcuni tipi di pane (il pan de mej lombardo) e qualche dolce. Un dolce tipico del padovano e del polesine, la smegiassa è ora prodotto con la farina di mais, mentre originariamente, veniva fatto con la farina di miglio. Il nome, infatti, proviene probabilmente dal migliaccio, un dolce medioevale fatto con il sangue di maiale e la farina di miglio.
Per la medicina cinese il miglio è un cereale che riscalda. Ne viene consigliato l’uso principalmente all’arrivo dei primi freddi e per aiutare lo stomaco e la milza.
Molto spesso viene considerato il cereale dei macrobiotici probabilmente perchè sono quelli che maggiormente lo usano essendo il miglio considerato dagli uomini moderni il cibo per i canarini, che molto intelligentemente lo mangiano perchè ricco di silice e di sali minerali in generale e, per questo, di sostegno a pelle, capelli, unghie, smalto dei denti e indicato per le donne in gravidanza.
E’ privo di glutine per cui ottimo per i celiaci e per chi ha problemi di allergie.
 
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Crocchette di Miglio
Dal libro Ricette per le cinque stagioni di Giuseppe Sivero,Shiatsumilano editore
Ingredienti: poco miglio avanzato, carote, cipolle, crema di olive, pane grattugiato,  crema di sesamo, miso, prezzemolo.
  • Tagliare le cipolle e le carote a dadini
  • Scottare le carote e saltare le cipolle in poco olio
  • Amalgamare il miglio con le verdure e con un po’ di crema di olive.
  • Bagnare le mani e formare delle palle grosse a piacere e passarle nel pan grattato. Metterle in una teglia da forno leggermente unta e spolverata di pan grattato e infornare a forno già caldo a 180° per 10-15 min.
  • Fare una salsa con una parte di miso e 3 parti di crema di sesamo diluiti in acqua e guarnire le crocchette. A piacere guarnire anche con prezzemolo tritato.

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Miglio con cipolle saltate 
Ingredienti: 2 tazze di miglio, una cipolla a cubetti, 6 tazze di acqua calda, olio ex. vergine di oliva.
  • lavare con cura il miglio;
  • rosolare in pochissimo olio, per 4-5’ la cipolla;
  • incorporare il miglio e tostare assieme per 2-3', mescolando bene;
  • versare l'acqua calda e salare;
  • portare a bollore, quindi abbassare al minimo e cuocere il tutto per 30-35'.
 

Insalata di Cous Cous

Ingredienti: 2 hg. di cous-cous, 3 hg. di acqua, 5 - 6 fagiolini, 1 carota tagliata a dadini, 1/4 di peperone rosso tagliato a dadini, 1,5 hg. di tofu, 1/2 T di piselli freschi e sgranati, 10 capperi, 5 o 6 olive nere, olio extra-vergine di oliva, aceto di riso, acidulato di umeboshi, sale, shoyu.

  • Tagliare il tofu a quadratini e metterlo a macerare in poca acqua e shoyu. Scottare in poca acqua, per 2 - 3', nell'ordine: i fagiolini interi, le carote, i piselli. Fare raffreddare immediatamente sotto acqua fredda. Spruzzare le carote di aceto di riso e i fagiolini di acidualto di umeboshi. Saltare il peperone per qualche minuto in un C di olio. Fare raffreddare.

  • In una pentola con un buon fondo tostare il cous-cous a fuoco medio, fino a quando non incomincia a fumare e a cambiare leggermente di colore, facendo attenzione a non bruciarlo.

  • Nel frattempo portare a bollore l'acqua e salarla. Quando il cous-cous e pronto, levare la pentola dal fuoco, continuando a mescolare per 2' - 3'. Aggiungere l'acqua bollente e coprire immediatamente. Far riposare 10' e sgranare con una forchetta. 

  • Condire con le verdure, il tofu, il liquido di marinatura e 1 C di olio.

La Fermentazione

 Da: Ricette per le 5 stagioni

Giuseppe Sivero - Shiatsu Milano Editore

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...La parola fermentare viene dal latino fervere che vuol dire bollire nome legato alle bollicine di gas carbonico che si formano durante il processo di trasformazione di una sostanza organica prodotta dall’azione di enzimi creati da batteri o da piccolissimi funghi. Questa trasformazione permette la conservazione del cibo senza consumo di energia, lo rende più digeribile inibendo alcune sostanze anti nutritive e lo arricchisce di sostanze altamente vitali....

...In Europa e dintorni vi sono una grande gamma di prodotti fermentati.
I crauti ( i Sauerkraut tedeschi cavolo capuccio fementato con il sale ) che con l’aggiunta o meno di aromi o altre verdure sono prodotti tipici specie del nord Europa.
Nell ’Europa del’est vi è una vasta gamma di zuppe fermentate come lo Zurek in Polonia e l’infinita gamma di zuppe fatte con le barbabietole rosse.
Per non parlare delle tante forme di pesce marinato o in salamoia e dell’infinità di bevande (birra, vino ecc.) e di derivati dal latte (yogurt, kefir, il laban arabo, l’airag mongolo (latte di cavalla fermentato), la panna acida)...
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...In oriente vi è una grande tradizione di cibi fermentati a partire da tutti i derivati della soia (salsa di soia, miso in giappone e tempeh in Indonesia) e proseguendo con una moltepice varieta di verdure fermentate (insalatini o pickles) preparati con il sale o con il miso (misozukè) o con aggiunta di crusca di riso (tsukemono) in giappone o con i kimchi della corea, il sajour asin dell’indonesia o lo hum-choy il cavolo fermentato cinese....
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Le proprietà

...In pratica la fermentazione è una predigestione controllata che, oltre a inibire fattori antinutritivi, scinde in molecole più semplici, grassi, proteine e carboidrati rendendo i cibi più facilmente digeribili. Questo avviene nella frollatura della carne e nella stagionatura di salame e formaggio e nella produzione del tempeh.

I principali tipi di fermentazione sono quella lattica (in assenza di aria) e quella acetica che producono acido lattico e acetico che insieme ai lattobacilli ed ad innumerevoli altri microorganismi vanno ad arrichire la flora batterica intestinale. Quest’ultima è fondamentale per la sintesi di alcune vitamine, per la difesa da infezioni e putrefazioini e per la risposta immunitaria....

...Nella fermentazione si liberano una grande quantità di enzimi, proteine che hanno il compito di agevolare reazioni chimiche indispensabili per tutti i processi metabolici come per es. la digestione e la rigenerazione dei tessuti.

Inoltre vengono rese disponibili sostanze di difficile assimilazione: la fermentazione scinde legami molecolari che il processo digestivo non riesce a scindere moltiplicando la presenza di minerali negli alimenti.

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Orzo al sugo

Ingredienti:

  • 4 etti di orzo mondo decorticato,
  • 2 carote,
  • 1 gambo di sedano,
  • 2 cipolle, aglio,
  • maggiorana,
  • olio ex. di oliva.

Preparazione:

Lavate e mettete a bagno l’orzo per una notte. Cuocerlo a pressione per 50 minuti in 2 pareti di acqua (usando l’acqua di ammollo) e con un po’ di sale
Cuocere a vapore le verdure tagliate a pezzi grossi; passarle con il passaverdure.
Scaldare poco olio in una casseruola, fare rosolare l’aglio tagliato sottile e aggiungervi il passato; fare cuocere per 5 min., regolare di sale e spruzzare con della maggiorana.
Quando l’orzo è cotto versarlo nel sugo e mescolare delicatamente.
Lasciare riposare 10 min. prima di servire.

Pane e polenta

 Da I leori del Socialismo, Dino Coltro (1973)

I leori

La mattina si mangiava polenta, e mezzodì si trigava alla una anca alle do e l’era polenta, la sera ancora polenta, polenta o bigoloto, delle volte con un pizzego de capuzzi bruciati nell’asedo o messi a cuocere sui canoti con una voia de unto, via della dobia perché il giovedì mia povera mamma trottava fino da Breda, al molino comperava riso che era riseta piena de pavio, a ottanta schei al decalitro, quella sera preparava, con pochi fagioli o capuzzi, un minestrone che a noi altri ci pareva de ingrassare a ogni scuciarà quando lo mangiaimo, ma minestra era solo il giovedì, non c’era pane, si vedeva il pane una o do volte l’anno e nel mese della spigolatura, si andava sui campi appena mietuti, donne e buteleti spetaimo come mosche sul filo dell’erba della cunetta che ci aprissero il quarto libero dai covoni, allora si metteva insieme, spiga su spiga, una sfornata di pane da cavarse una fame sempre vecchia.

Mais

Par il resto dell’anno si nominava il pane nel Padre nostro che si recitava ogni domenica in chiesa, pregando con quei cristiani che mangiavano sul serio il so pane quotidiano, le altre mattine bastava tirarse sulla camisa un segno de croce de traverso, male inchiodato sulle spalle che sentivano ancora la fatica del giorno prima e che il saccone de foie secche no aveva fatto tempo de tirar via nella notte.

 

bottiglie e bicchiere


Vino, forse a sabato, mezzo litro, un gotto tirando i schei del settimanale, in fondo aver preso quei quattro soldi delle giornade, faceva pensare de podere pagarti un gozzo de vino con tutto diritto, ogni giorno non ci stava dentro, al sabato era come che il vino fosse paga, ma per berlo bisognava far passare dal buso dello scarsellino un pizzego de palanche che sapevano ancora del profumo da sior, qualche paron più tardi un fiasco lo metteva sul salario, il caffè noi bambini neanche pensarlo, pure se era de orzo scarso, solo quando ti veniva el mal de pancia, ma era difficile fare delle indigestioni, mia mamma ci dava i cinciarini la sera quando sfarinava la polenta, qualche volta li condiva con una goccia de olio, quella allora diventava la cena, era proprio una goccia l’olio non è par modo de dire, né un filo o una bava in pi, mi ricordo de aver bevuto il primo caffè quando sono andato a soldato da permanente, adesso nelle case, nel cantone sul quarelo della mare, c’è sempre il brondineto del caffè con tanto de fondi che buttano via e sono i più buoni basta tastarli.

Panificazione Naturale

 Il pane a pasta acida
Disegni di Claudio Bighignoli
Alcune premesse.....

Panificio antico

Negli anni ’70 - ’80 del secolo scorso, vi è stata una riscoperta degli antichi metodi di produzione del pane che però, se non fatti bene, potevano portare a molte complicazioni digestive e nutrizionali. E’ per questo che è importante chiarire alcuni aspetti che purtroppo, nella fretta della civiltà del consumo, vengono trascurati.

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Importanza della lievitazione acido- naturale

Questo tipo di lievitazione ha lo scopo di meglio salvaguardare e rispettare gli innumerevoli equilibri organolettici e nutrizionali sui quali il pane “vive”, sia prima che durante e dopo la cottura. Dal punto di vista nutrizionale la lievitazione acido-naturale (o lievitazione a pasta acida) presenta, rispetto agli altri tipi di lievitazione, alcuni vantaggi fondamentali.In passato, ma ancora oggi sebbene in misura minore, il pane integrale è stato accusato di provocare anemia e processi di decalcificazione in coloro che se ne nutrono costantemente. QUESTA ACCUSA NON HA ALCUN FONDAMENTO SCIENTIFICO.
 
Vediamone il perché....
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L’acido Fitico
Nella crusca del chicco di grano e quindi anche nelle farine integrali che si ottengono macinando l’intero cereale, è presente in quantità apprezzabile l’acido fitico un acido organico che contiene fosforo, presente negli alimenti del mondo vegetale (specie cereali e legumi) e assente in quelli del mondo animale.  In laboratorio si è constatato che questo acido impedisce l’assorbimento di importanti metalli come ferro in particolare ma anche calcio, zinco e magnesio. La combinazione di tali metalli con l’acido fitico forma dei sali, chiamati fitati (fitato di ferro, di calcio, di magnesio), insolubili, per cui non assimilati dall’organismo, ed invece espulsi con le feci. Il sospetto è che l’abituale consumatore di pane integrale vada incontro al rischio di anemia e decalcificazione. Questo rischio è sicuramente maggiore in alcuni soggetti come donne in gravidanza e bambini ma, in linea di massima, con una alimentazione completa e variegata, il rischio di carenze viene ridotto al minimo. Per approffondire l’argomento, specie per quel che riguarda l’anemia, vi rimando al bel libro di Carlo Guglielmo “Il grande libro dell’ecodieta” ed. Mediterranee cap. 2.5
Se lo si considera dal punto di vista strettamente chimico, comunque il ragionamento non fa una grinza. Diverso però è se si esce dal laboratorio, e si analizza il pane durante il processo di lievitazione e non sull’acido fitico isolato dal suo contesto naturale.
 

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La Fitasi
Nella crusca dei cereali è stata riscontrata la presenza di un particolare enzima detto fitasi, stabile agli acidi e che può scindere i gruppi fosfato dell’acido fitico nei suoi costituenti (insistono e acido fosforico), impedendo così che si leghi con i minerali e li possa sottrarre all’organismo. Perchè la fitasi “lavori” e riduca la presenza di acido fitico c’è bisogno però di una ambiente opportunamente acido e di una fermentazione abbastanza lunga (alcune ore) perchè avvenga quella che si chiama idrolisi enzimatica e trasformi l’acido fitico in innocui sali come il fitato di sodio e di potassio. Questi due aspetti non sono rispettati nella moderna lievitazione con lievito di birra (o peggio con lievito chimico) che ha nella velocità la sua caratteristica principale e che, per questo, può creare ancora più problemi se fatta sulla farina integrale ricca di crusca per cui di acido fitico, che non avrà il tempo di essere trasformato. Attenzione perciò a prendere la crusca come lassativo o come “pulitore intestinale”. La crusca è, come detto, ricchissima di acido fitico ed esso non viene distrutto per il semplice fatto che, come abbiamo visto, ciò succede solo in presenza di lievitazione naturale. Lo stesso vale per il pane integrale ottenuto miscelando crusca e farina raffinata e con lievito di birra.
Ma vi sono anche altri motivi per preferire la lievitazione naturale.
La farina integrale in buon stato di conservazione e biologica è assai ricca di cariche enzimatiche e diastasiche (alfa e beta amiliasi che scindono il malto in glucosio) naturali la cui azione benefica è favorita dalla lievitazione acido-naturale che trasforma le proteine presenti nella farina in composti più assimilabili e quindi più digeribili; gli zuccheri in acido lattico il quale crea, nella microflora intestinale, un ambiente che si oppone all’insorgenza di fenomeni patogeni.

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L’impasto lievitato, prima della cottura, è un insieme estremamente ricco di funghi microscopici (in particolare di saccaromiceti che comprendono molta parte dei lieviti) e di enzimi che vengono distrutti, in gran parte, dalla cottura. Solo i saccaromiceti presenti nella parte centrale (“cuore” o “pulcino”) della pagnotta (specie se questa è almeno 1kg) rimangono attivi e, una volta finita la cottura, ricominciano a moltiplicarsi e a distribuirsi nell’intera pagnotta riattivando tutti quei composti che danno al pane la caratteristica fragranza.
Inoltre, la maggiore durata della lievitazione naturale, agevola l'azione degli enzimi coinvolti nella digestione proteica (proteolitici) che scindendo le proteine nei componenti base cioè gli amminoacidi, aumentando sia la digeribilità sia le caratteristiche finali di fragranza e appetibilità del pane; sono soprattutto alcuni amminoacidi che, durante la cottura realizzano, reagendo col glucosio, la formazione di sostanze responsabili del profumo e del sapore del prodotto.
L’uso del lievito naturale fa conservare più a lungo i prodotti da forno ottenuti (la maggiore acidità dell'impasto riduce lo sviluppo delle muffe) e crea un'alveolatura più regolare dovuta a una più lenta produzione di anidride carbonica durante la fermentazione. Il pane così prodotto andrebbe mangiato almeno un giorno dopo la cottura, appunto per dare tempo ai saccaromiceti di ripopolarlo e ritrasformarlo in cibo “vivo”.
Fra i saccaromiceti esiste un tipo particolare, il Saccharomyces Ellipsoideus (il principale agente della fermentazione alcolica del mosto d’uva), che produce un fattore antimicrobico ed acido lattico; entrambi servono a combattere e a contenere diversi germi patogeni (ad es. le salmonelle) che si potrebbero sviluppare in modo abnorme nel nostro intestino.

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La panificazione a pasta acida
La fermentazione naturale del pane è in parte lattica (anaerobica e prevalente) e in parte acida (aerobica). Probabilmente si è scoperta in maniera empirica perchè si ottiene semplicemente facendo fermentare una miscela di acqua e farina per qualche giorno.
Per una buona riuscita del lievito e di conseguenza per una buona qualità di pane è necessario però rispettare alcune condizioni:
  1. L’acqua deve essere priva di cloro e poco calcarea. Sarebbe buono usare acqua di sorgente ma, se non ne avete a disposizione, almeno per preparare il lievito, usate un acqua minerale poco mineralizzata.
  2. Il frumento deve provenire da coltivazioni biologiche
  3. La farina deve essere integrale ottenuta macinando il chicco intero del frumento con mulini a pietra, a velocità moderata per evitarene il surriscaldamento che danneggerebbe, i grassi e le vitamine
  4. L’impastatura deve essere lenta e moderata per permettere alle molecole filiformi del glutine di disporsi parallele fra di loro e conferire, in tal modo, al pane la tipica struttura spugnosa ed alveolare, favorevole alla buona digestione ed assimilazione.
 
Preparazione del lievito naturale
Mescolare in una ciotola (meglio se di legno o terracotta) 100 gr di farina con circa 50 gr di acqua tiepida (circa 25°) fino ad ottenere un impasto morbido.
Mettete il recipiente in un luogo tiepido (fra i 18° e i 20°) coperto con un panno di lana spesso che va tenuto costantemente umido per evitare la formazione della crosta, per 2-3 giorni. Aggiungere poi 3-4 cucchiai d’acqua e la farina necessaria per ottenere un impasto solido. Lasciare riposare almeno una notte e, dopo di che, il lievito è pronto.
Alcuni consigliano di aggiungere del miele che sicuramente agevola l’azione del lievito. Però il miele inibisce la produzione dei batteri lattici che creano una acidita ideale per la distruzione dell’acido fitico (vedi sopra)
Il lavoro di produzione della pasta madre è molto delicato e, specie all’inizio, è facile fare dei pastrocchi. Dovete avere pazienza e usare recipienti puliti per evitare fermentazioni anomale. La cosa che succede più spesso è che il lievito “marcisca” cioè fermenti troppo. A quel punto vedrete formarsi delle bolle e ci sarà un forte odore acido. In questo caso il lievito ha perso forza e il pane non lieviterà e sarà troppo acido.
La cosa più semplice è quella di farsi dare da qualcuno un pezzo di impasto e partire con quello rispettando la procedura  sotto scritta.

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Fare il pane
Aggiungere alla pasta madre tanta farina quanto il peso e reimpastare con acqua tiepida.
Lavorare l’impasto per renderlo morbido e riporlo nella terrina per 4 ore circa. Staccare un pezzo dell’impasto che farà da “madre” per la panificazione successiva. La “madre” va  conservata in un luogo fresco (sarebbe meglio evitare il frigorifero) dentro a un vaso di vetro a chiusura ermetica per un massimo di 8-10 giorni. E’ meglio però rinfrescarla ogni 2-3 giorni con poca farina ed acqua perché non perda di potenza fermentativa.
Sciogliere 1/2 cucchiaino di sale marino integrale in acqua tiepida. Aggiungerlo all’impasto assieme a un pari peso di farina. Lavorare bene l’impasto aggiungendo acqua quanto basta per renderlo morbido.
Far riposare per circa 2 ore in un posto tiepido e coperto da un canovaccio e infornare a forno caldo a 220° per circa 1 ora (il tempo dipende dalla grossezza della pagnotta e dal tipo di forno).
I tempi di lievitazione e di cottura sono puramente indicativi perchè dipendono da troppi fattori (umidità, tempi di lavorazione, temperatura, tipo di farina, qualità del lievito, ecc.).Per le lievitazioni un buon sistema è premere l’impasto leggermente con un dito. Se resta un buco non è ancora pronto; se ritorna lentamente è pronto. Se c’è un odore acido e l’impasto ha perso di consistenza è “marcito” cioè ha lievitato troppo.
Per la cottura c’è il vecchio sitema dello stuzzicadenti che deve uscire asciutto una volta infilato nella pagnotta. Però non aprite il forno per i primi 20 - 30 min. perchè rischiate di compromettere la lievitazione.
Come spesso succede in cucina si va per tentativi ed errori. Vi consiglio, le prime volte, di scrivervi tutto: peso dell’acqua, della farina, del sale; tempi di lievitazione e di cottura.

 

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Dal trattato “Sulla proprietà dei cibi” di Galeno (ca.180 d.C.), medico greco che ha condizionato la medicina occidentale fino al 1500-1600.

 

Il frumento e il pane

 

Mi sembra piuttosto comprensibile che la maggior parte dei dottori debba iniziare la propria spiegazione parlando del frumento, visto che questo cereale è il più utile e il più utilizzato da tutti i greci e dalla maggior parte degli stranieri. I tipi di frumento più nutritivi sono quelli che vengono spulati e che hanno una struttura densa e compressa, tanto che i denti hanno difficoltà a romperli. Questi tipi di frumento forniscono all'organismo una gran quantità di nutrienti in rapporto al poco volume consumato […]. 

 

Pasta alla Trapanese

Ingredienti: 4 etti di pasta integrale, 1 kg, di pomodori da salsa ben maturi, 1 etto di mandorle, 3 spicchi d’aglio, una manciata di basilico, sale, olio ex. v. di oliva.

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  • Lavare i pomodori, frullarli o passarli al setaccio

Mandorle

  • Schiacciare le mandorle e l’aglio in un mortaio e tritare il basilico.
  • Unire il tutto in una terrina, aggiungere olio e sale e lasciare riposare per un paio di ore.
  • Cuocere la pasta in acqua abbondante e salata e condire, ancora calda, con la salsa.

Piccola storia del Pane

 
Panificio antico
Il pane è probabilmente l’alimento fermentetato più diffuso nel mondo.
Viene prodotto con la farina di vari cereali (il frumento è il più usato) e, si pensa, sia originario dell’Egitto dove se ne trova traccia già dal 3500 a.c.
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Il pane era già noto all’Homo erectus circa 1 milione di anni fa; il primo pane era non lievitato ed è nato quando l’uomo scoprì, più o meno casualmente, che un impasto di cereali messo su una pietra calda diventava croccante e appetitoso. Se ne trovano ancora numerose tracce in varie parti del mondo come il pane azimo ebreo,la tortilla messicana, il chapati indiano, l’oatchake scozzese, lo shawnee cake dei nativi del nord america, il paoping cinese o il injera  etiope. Tutti pani fatti con diversi cereali e che hanno il vantaggio di durare a lungo e lo svantaggio che da freddi diventano duri e di difficile digestione.
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Sono stati gli egiziani che hanno ottenuto un nuovo tipo di frumento che si poteva separare facilmente dalla pula (parte esterna di protezione cellulosica) ottenendo così farine più pregiate. Con i cereali selvatici più antichi questo non era possibile e per questo dovevano essere riscaldati privando così le proteine della necessaria elasticità per la lievitazione. La produzione di questo tipo di frumento è però stata, per secoli, molto limitata ed era di quasi esclusivo uso delle classi più ricche. La maggior parte delle popolazioni hanno continuato ad usare pani non lievitati. Con l’avvento di nuove qualità di frumento gli Egiziani hanno potuto applicare le prime tecniche di lievitazione rendendo il pane morbido e fragrante.
I greci successivamente le hanno miglorate fino a produrre  70 tipi di pane con l’aggiunta di condimenti e aromi,  molto simili a quelli moderni.
Sono stati i romani ad introdurre il pane in Italia (portando fornai greci come schiavi). Sembra che il termine farina derivi da farrina cioè ricavata dal farro (Triticum dicoccum) una qualità di grano duro molto coltivata, allora, nel centro Italia e da cui deriva, a seguito di vari incroci il Triticum durum il nostro grano duro. Da un altra selezione naturale è nato il Triticum spelta o farro spelta che ha generato il Triticum aestivum, il nostro grano duro.
Secondo Plinio la produzione del pane su più ampia scala è iniziata, a Roma, nel 171 a.c. con la legalizzazione di una categoria di artigiani, i pistores ( da pistor-oris cioè “chi pesta i cereali nel mortaio”) che all’inizio erano liberti o cittadini di bassa condizione sociale e che poi, quando divennero dei fornai, ottennero molti privilegi fino a creare una corporazione (colleggium pistorum) che riusci ad ottenere contributi dall’amministrazione per la distribuzione gratuita del pane al popolo.
Si perchè il pane aveva raggiunto una tale diffusione da sostituire la classica polta o plus (zuppa di cereali selvatici, leguminose e quando c’era carne) e da diventare cibo indispensabile per ricchi e poveri tanto che in periodi di carestia furono promulgate leggi prima per la distribuzione a metà prezzo del grano e poi per la distribuzione gratuita del pane. Era così diffuso che Giovenale nelle sua Satire coniò la famosa espressione “Panem et Circenses” cioè mangiare e divertirsi.
Però, il pane industriale dei giorni nostri, ha poco a che vedere con il pane che producevano gli egiziani e i romani con una tecnica, conservata più o meno uguale, fino agli inizi del ‘900.
Il pane che noi usiamo al giorno d’oggi è, per lo più, pane di frumento (di grano tenero nei paesi più freddi e di grano duro in quelli più caldi); il frumento è però un cereale che fino a non molti hanni fa, come sopra detto, non era così diffuso ed era considerato un cereale per  ricchi. Le popolazioni meno abbienti lo usavano perciò come merce di scambio e per la panificazione o per le “polente” usavano cereali più “poveri”.
 Cesta pane
Lo spiega bene Dino Coltro ne “La cucina tradizionale veneta”. (Newton Compton editori)
……. Nelle case bracciantili il pane era una rarità. Secondo le testimonianze orali, il pane accompagnava la carne a Natale, a Pasqua e alla Sagra. Era considerato il cibo rituale del Natale. Nelle case attaccata a una trave della cucina, c’era la zesta del pan, la cesta del pane, perché el pane fato in casa, fatto in casa, era custodito con gelosa attenzione dalla mare, la madre governatrice. Ai bambini bastava on corno de pan; alle donne meza ciopeta; agli uomini na ciopeta.

Festa del Pane Eboli Bocca di forno foto antica 360x225              

Nei tempi più recenti (inizio del ‘900) ogni contrada aveva il forno in comune e ogni tanto, se fase na sfornà de pan, si cuoceva una sfornata di pane. Il ≪tempo del pane≫ era rappresentato dalla medanda il periodo della mitetitura. Perché aveva del so, terra propria, il pane era, naturalmente, il  ≪ pane quotidiano≫ tenendo però presente che per i coltivatori diretti, il frumento costituiva ≪merce di scambio≫ o comunque una fonte di guadagno, come la stalla. La polenta resteva anche per loro la base dell’alimentazione. Ogni zona, si può dire, aveva particolari forme di pane; la ciopa, la ciopeta, el panetto, la roseta ecc.
…….Il Ruzante, nella Betia, cita un pan de massaria, certamente di grande formato, cotto una volta la settimana. Mentre è el pan scafetò (pane biscottato e condito più simile ai biscotti odierni) appare un pane prelibato, da ricchi e da cittadini, questo pan de massaria doveva essere il pane dei contadini. Questi ultimi si cibavano anche di pianele, schiacciate di farina di castagne, il castagnaccio venduto sui banchetti delle piazze fino a qualche decennio fa. El magnar pan e megior vin costituisce per i protagonisti della Betia un sicuro e felice nutrimento………
 Le moderne tecniche di panificazione si sono rese necessarie dalla separazione delle città dalla campagna e di conseguenza dalla necessità di lavorare le farine perchè si conservassero nel tempo. Tradizionalmente in ogni città e in ogni villaggio era presente un mulino e i chicchi di cereale venivano conservati interi e macinati all’occorenza circa una volta al mese; in questa maniera si conservavano più a lungo e la farina era sempre “fresca”. Con l’avvento delle grandi città era diventato più comodo macinare grandi quantità di farina per agevolarne la vendita. Per conservare le farine piu a lungo era però necessario privarle delle sostanze oleose, proteiche e vitaminiche presenti nella crusca, che  inrancidivano più facilmente. Queste sostanze però sono quelle che danno al pane la caratteristica fragranza e il caratteristico aroma. Da qui è iniziata l’abitudine di aggiungere al pane grassi vegetali o animali per avere accettabili qualità organolettiche e farlo durare di più nel tempo.
 

Spaghetti con broccolo fiolaro, mandorle e pomodorini secchi

Ingredienti
500gr. di spaghetti, 2-3 broccoli fiolaro, 2-3 pomodorini secchi, 50gr di mandorle spellate, 1 spicchio di aglio, 1 cipolla, olio ex. V. di oliva, sale
 

Preparazione:

  • Cuocere gli spaghetti in acqua abbondante e salata fino a cottura
  • Lavare bene i broccoli e tagliarli grossolanamente
  • Tagliare la cipolla a 1/2 luna e l’aglio a spicchi grossolani
  • In una padella larga fate rosolare in olio abbondante lo spicchio di aglio per 2-3 minuti, e poi la cipolla fino a trasparenza.
  • Aggiungete i pomodorini secchi ( se troppo secchi ammollateli per qualche minuto) tagliati a striscioline. Fate saltare per qualche minuto
  • Aggiungere i broccoli e fare saltare per qualche minuto, aggiungendo acqua se necessario e poi abbassare il fuoco e farli cuocere per 5-10 min ancora fino a cottura. Regolare di sale
  • Scolare la pasta e farla saltare nella padella assieme ai broccoli
  • Servite caldo guarnendo con le mandole tritate grossolanamente

 

Verdure verdi saltate

Ingredienti:

  • Verdure a foglia verde (preferibilmente selvatiche),
  • aglio (facoltativo),
  • olio di sesamo

Preparazione:

Scaldare l’olio in una padella e rosolarvi l’aglio tagliato sottile o tritato
A fuoco vivace, aggiungere le verdure intere se tenere o tagliate fini o scottate se più coriacee
Salare ogni tanto e saltare, sempre a fuoco vivo, per 4-5 min.

Zuppa di Cetrioli

Ingredienti: 3 cetrioli medi, 4 funghi shitake o porcini secchi, 3-4 tazze d'acqua, sale, kuzu.
  • Ammollare i funghi per almeno 30' in tutta l'acqua; portare a bollore l'acqua e cuocerli per 10'.
  • Tagliarli a striscioline, rimetterli nell'acqua, riportarla a bollore e aggiungere i cetrioli interi a cui avrete levato solo le estremità. Cuocere 30'
  • Passare i cetrioli al passaverdura e rimetterli in pentola con il sale. Cuocere 10' a fuoco basso e a pentola coperta.
  • Aggiungere il kuzu, sciolto in poca acqua, per ottenere la densità desiderata.
  • Guarnire con alcune fettine di cetriolo crudo tagliato a mezza luna

Zuppa di miso con funghi

Ingredienti:

  • 5 - 6 funghi Shitake (o porcini),
  • 1 cipolla,
  • 1 pezzo di daikon,
  • semi di sesamo,
  • alcune foglie di ortica,
  • alga wakame,
  • miso di orzo,
  • zenzero.

Procedimento:

Ammollare i funghi per ½ ora e la wakame per qualche minuto in poca acqua.
Cuocere i funghi per 15 min. in 2 tazze di acqua, quindi aggiungere le wakame, le cipolle tagliate a ½ luna e il daikon tagliato a dadini.
Coprire e cuocere per 10 min.
Aggiungere 2 tazze di acqua calda, poche foglie di ortica e pochi semi di sesamo pestati.
Portare a bollore e mettere il fuoco al minimo.
Sciogliere 3 cucchiaini di miso in poco brodo, aggiungerlo alla zuppa insieme ad un cucchiaino di succo di zenzero; lasciare sobbollire per 2-3 min.
N.B. Poche foglie di ortica aiutano a sciogliere i depositi di grassi; troppe impediscono l’assorbimento del calcio, influenzando i reni.

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