Tsampa

 

tsampa

La Tsampa, è un alimento tradizionale tipico del Tibet, del Ladakh e dell’Himalaya indiano occidentale.
Ha probabilmente origini molto antiche di quando i cereali, per essere trebbiati e cioè si separava la crusca dalla parte amidacea, dovevano essere tostati e di conseguenza assumevano una consistenza troppo dura per essere usati direttamente.
Per preparare la Tsampa bisogna ammollare l’orzo per una notte asciugarlo prima con un panno e poi sul fuoco in una padella, macinarlo e impastarlo con acqua o tè fino ad ottenere una pasta liscia che poi viene sciolta con burro di yack e il denso e scuro tè tipico del Tibet.
La tsampa è un cibo facile da preparare e da conservare ed era utilizzato dagli Sherpa e dai nomadi.

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Andrè Migot medico e viaggiatore del Novecento ha descritto nel suo libro Tibetan Marches del 1955 come i tibetani preparavano questo piatto:
“ Si lascia un po’ di tè imburrato nel fondo della ciotola e lo si ricopre con un grande pezzo di tsampa. Si mescola delicatamente con l’indice, poi si impasta con la mano facendo ruotare al tempo stesso la ciotola, finche non si ottiene una massa grande dalla forma di un gnocco, che si procede a mangiare, annaffiandolo con altro tè. L’intera operazione richiede un alto grado di abilità manuale, e occorre una certa esperienza pratica prima di poter giudicare correttamente quanto tsampa si accompagni a una certa quantità di tè e viceversa; finche non si hanno le giuste proporzioni, il prodotto finale rischia di trasformarsi o in una massa di pasta troppo asciutta, oppure in una polentina semiliquida che si appiccica alle dita…. L’intero processo, in un paese in cui nessuno si preoccupa di lavarsi, ha il vantaggio aggiuntivo che, per quanto sporche siano le mani prima di impegnarsi nella preparazione di questo cibo, alla fine sono generalmente pulitissime”
 

O lost

 Da O Lost, di Thomas Wolfe (1929)

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...“Cibo, cibo, caro fratello della poesia, che abbiamo incontrato in tanti posti meravigliosi, attento! L’uomo con la palpebra calata e il nero cappello a cilindro che ha devastato la Vite, tua sorella, ha già messo gli occhi su di te. Non sei forse tu il simbolo di tutte le nostre frustrazioni, per cui pur essendo ricchi, siamo poveri; pur avendo tutto, moriamo di fame? Pseudo-musica, pseudo-poesia, pseudo-filosofia, pseudo-teatro, pseudo-birra: arriverà un giorno in cui, sconfitti da questo mistero, alzeremo lo sguardo sulle pecore intente a brucare mentre ci apprestiamo a cenare con agnello prefabbricato; oppure, nella stagione in cui il granturco maturo si piega sotto il peso delle spighe, verseremo nel piatto del mais sintetico?”...

Pane e polenta

 Da I leori del Socialismo, Dino Coltro (1973)

I leori

La mattina si mangiava polenta, e mezzodì si trigava alla una anca alle do e l’era polenta, la sera ancora polenta, polenta o bigoloto, delle volte con un pizzego de capuzzi bruciati nell’asedo o messi a cuocere sui canoti con una voia de unto, via della dobia perché il giovedì mia povera mamma trottava fino da Breda, al molino comperava riso che era riseta piena de pavio, a ottanta schei al decalitro, quella sera preparava, con pochi fagioli o capuzzi, un minestrone che a noi altri ci pareva de ingrassare a ogni scuciarà quando lo mangiaimo, ma minestra era solo il giovedì, non c’era pane, si vedeva il pane una o do volte l’anno e nel mese della spigolatura, si andava sui campi appena mietuti, donne e buteleti spetaimo come mosche sul filo dell’erba della cunetta che ci aprissero il quarto libero dai covoni, allora si metteva insieme, spiga su spiga, una sfornata di pane da cavarse una fame sempre vecchia.

Mais

Par il resto dell’anno si nominava il pane nel Padre nostro che si recitava ogni domenica in chiesa, pregando con quei cristiani che mangiavano sul serio il so pane quotidiano, le altre mattine bastava tirarse sulla camisa un segno de croce de traverso, male inchiodato sulle spalle che sentivano ancora la fatica del giorno prima e che il saccone de foie secche no aveva fatto tempo de tirar via nella notte.

 

bottiglie e bicchiere


Vino, forse a sabato, mezzo litro, un gotto tirando i schei del settimanale, in fondo aver preso quei quattro soldi delle giornade, faceva pensare de podere pagarti un gozzo de vino con tutto diritto, ogni giorno non ci stava dentro, al sabato era come che il vino fosse paga, ma per berlo bisognava far passare dal buso dello scarsellino un pizzego de palanche che sapevano ancora del profumo da sior, qualche paron più tardi un fiasco lo metteva sul salario, il caffè noi bambini neanche pensarlo, pure se era de orzo scarso, solo quando ti veniva el mal de pancia, ma era difficile fare delle indigestioni, mia mamma ci dava i cinciarini la sera quando sfarinava la polenta, qualche volta li condiva con una goccia de olio, quella allora diventava la cena, era proprio una goccia l’olio non è par modo de dire, né un filo o una bava in pi, mi ricordo de aver bevuto il primo caffè quando sono andato a soldato da permanente, adesso nelle case, nel cantone sul quarelo della mare, c’è sempre il brondineto del caffè con tanto de fondi che buttano via e sono i più buoni basta tastarli.

Broccolo Fiolaro di Creazzo

 

I leori

Il Broccolo fiolaro di Creazzo è una varietà, delle circa 70 esistenti, di broccolo (famiglia delle Cruciferae o Brassicaceae) coltivata sulle colline esposte a sud (max 200 metri slm) che sorgono intorno a Creazzo, cittadina in provincia di Vicenza che, in epoca romana, era un importante centro commerciale perchè si trovava sulla via Postumia, collegamento fra 2 importantissimi porti e cioè Genova ed Aquileia.
E’ così chiamato perchè sul fusto della pianta sono inseriti dei germogli che in dialetto vengono chiamati “fioi” cioè figli.
 

Mais

Questo ortraggio era conosciuto fin dai tempi dei romani e Catone il vecchio ( 234 ac - 149 ac), strenuo difensore delle tradizioni romane e della vita in campagna, ne parla nei suoi scritti esaltandone anche le proprietà medicamentose.
Importato dai veneziani qualche secolo fa nell’alto vicentino, ha trovato sulle colline di Creazzo l’ambiente ideale per la crescita, sia per l’esposizione a sud ,che per la qualità del terreno sciolto, ben azotato.

bottiglie e bicchiere

Viene seminato in semenzaio verso giugno e trapiantato verso la fine di agosto inizio settembre.
La raccolta si fa da novembre a febbraio nel periodo delle gelate in quanto la pianta è in grado di difendersi fino a temperature di - 7 o -8 gradi.
Si dice che i broccoli più buoni siano quelli che sono stati più al freddo in quanto, per difendersi dal gelo, limitano il contenuto di acqua e il gusto diventa più dolce.
Conosciuto per il suo gusto particolare, al broccolo fiolaro, come molte altre piante della famiglia delle brassicacee, sono riconosciute da sempre proprietà nutrizionali perchè ricco di magnesio e potassio che aiutano nelle prevenzione dell’ipertensione e proprieta medicamentose in quanto ricco di antiossidanti, sostenze che aiutano la prevenzione dei tumori.
La pianta era molto coltivata nel 1700 - 1800 e anche Johann Wolfgang von Goethe nel 1786 ne rimase colpito in una sosta nel vicentino durante il suo viaggio in Italia.
 
Ricetta
 

https://www.solelunaverona.it/blog/ricette/91-verdure-verdi-saltate-2.html

 

Zuppa di Cetrioli

Ingredienti: 3 cetrioli medi, 4 funghi shitake o porcini secchi, 3-4 tazze d'acqua, sale, kuzu.
  • Ammollare i funghi per almeno 30' in tutta l'acqua; portare a bollore l'acqua e cuocerli per 10'.
  • Tagliarli a striscioline, rimetterli nell'acqua, riportarla a bollore e aggiungere i cetrioli interi a cui avrete levato solo le estremità. Cuocere 30'
  • Passare i cetrioli al passaverdura e rimetterli in pentola con il sale. Cuocere 10' a fuoco basso e a pentola coperta.
  • Aggiungere il kuzu, sciolto in poca acqua, per ottenere la densità desiderata.
  • Guarnire con alcune fettine di cetriolo crudo tagliato a mezza luna

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