I germogli

 Da: Ricette per le 5 stagioni

Giuseppe Sivero - Shiatsu Milano Editore

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Facili da produrre, contengono grandi quantità di proteine (fino al 35%), vitamine (un aumento fino al 1400%) e sali minerali (calcio, magnesio e altri). Non perdono in contenuto nutritivo nel tempo, sono facilmente assimilabili, alcalinizzanti e ricchi di enzimi metabolici vitali.

Sono, insomma, degli ottimi integratori alimentari che aiutano a combattere i radicali liberi e a far funzionare meglio tiroide, reni, polmoni e fegato. Ne bastano piccole quantità giornaliere per ottenere un’ottima integrazione all’alimentazione quotidiana.

In oriente si parla di germogli fin dal 5000 a.c. per le loro proprietà antinfiammatorie, e nel “Shen Nong Ben Cao Jing” (Classico sulle Radici di Erbe del Contadino Divino, 2800 a.c.) vengono raccomandati per disturbi digestivi, dolori vari e malattie della pelle.

Nella fermentazione si liberano una grande quantità di enzimi, proteine che hanno il compito di agevolare reazioni chimiche indispensabili per tutti i processi metabolici come per es. la digestione e la rigenerazione dei tessuti.

Inoltre vengono rese disponibili sostanze di difficile assimilazione: la fermentazione scinde legami molecolari che il processo digestivo non riesce a scindere moltiplicando la presenza di minerali negli alimenti.

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Germogliazione in un barattolo di vetro

Sterilizzare il barattolo di vetro. Più grossi sono i semi e più grosso deve essere il barattolo.

Mettere i semi nel barattolo, ricoprirli con due o tre dita d'acqua (per i semi più mucillaginosi, come quelli di rucola o di lino, è possibile omettere l'ammollo) e lasciarli in ammollo da 6 a 24 ore in base alla grossezza.

Mettere il barattolo al buio, ricoperto da un telo ma senza coperchio.

Trascorso il tempo necessario, ricoprire con una retina fine (ad esempio una garza), da fissare con un elastico in modo che i semi possano essere scolati facilmente capovolgendo il barattolo.

I semi dovranno essere risciacquati 2 o 3 volte al giorno, coprendoli di acqua e mettendo il barattolo inclinato in modo che tutta l’acqua possa uscire.

Il barattolo va conservato in un posto poco luminoso ed esposto alla luce del sole per alcune ore prima di iniziare a consumarne il contenuto.

I germogli inizieranno a spuntare dopo 1 o 2 giorni e saranno pronti dopo 3-5 giorni a seconda dei semi di partenza, della temperatura e dell’umidità dell’ambiente.

Potranno essere conservati in frigorifero in un contenitore dai 5 ai 7 giorni senza problemi.

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Germogliazione nella bambagia

Questo tipo di germogliazione è più indicato per i semi più grossi (ceci, fagioli ecc.)

Ammollare i semi per 24 ore.

Mettere uno strato di bambagia su un piatto piano, inumidirla e aggiungere i semi scolati.

Tenere la bambagia umida (non bagnata) fino a quando i semi non sono germogliati.

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Affronta la Primavera con la giusta alimentazione

Durante i cambi di stagione è particolarmente importante avere cura del proprio corpo e della propria alimentazione per evitare gli squilibri e la sensazione di stanchezza.

Simbologie antiche

Nella medicina antica, la Primavera era associata all’elemento naturale dell’Aria. Ad essa corrisponde, infatti, un’energia che si traduce in un movimento deciso verso l’alto. Basti pensare alle piante e alle foglie che spuntano dopo il lungo periodo invernale.

L’immagine associata alla Primavera è, dunque, quella di un Albero che nel suo crescere costante esprime simbolicamente una spinta ascensionale.

In questa fase l’energia si muove con ordine e con finalità precise; è leggera, veloce e dinamica, ma anche schietta e innocente come un germoglio.

Corrispondenze corporee

Nella filosofia macrobiotica l’elemento Albero-Legno è generato dall’Acqua che gli fornisce nutrimento ed energia. Gli organi corrispondenti sono Fegato e Vescicola Biliare che esprimono l’emozione della rabbia intesa come agressitività.

Per questo i gusti associati a questa fase prediligono le intonazioni acide e trovano corrispondenza con il colore verde.

I cibi che forniscono un utile apporto energetico in questa fase sono soprattutto i germogli e le verdure primaverili a foglia verde e piccola. Le cotture da prediligere sono quelle a vapore o ottenute tramite la bollitura e la scottatura delle verdure.

Ricetta primaverile

Un ottimo modo per realizzare una ricetta primaverile è quello di utilizzare l’orzo assieme alle verdure.

Dopo aver lavato e lasciato a bagno l’orzo per almeno una notte intera, lo si cuoce a pressione per circa 50 minuti utilizzando 4 tazze d’acqua (può essere anche l’acqua di ammollo) con l’aggiunta di una manciata di sale.

Mentre l’orzo è in cottura, si possono preparare le verdure (ad esempio carote, sedano, cipolle, aglio) tagliandole a pezzi piuttosto grossi e cuocendole a vapore. Successivamente, le si lavora con il passaverdure fino ad ottenere un composto di consistenza morbida.

Dopo aver scaldato un po’ di olio in una casseruola e aver fatto rosolare uno spicchio d’aglio, saltare il passato di verdure per qualche minuto. Da ultimo cospargerlo di maggiorana e aggiungervi l’orzo mescolando delicatamente. Si raccomanda di lasciar riposare almeno 10 minuti prima di servire.

La Fermentazione

 Da: Ricette per le 5 stagioni

Giuseppe Sivero - Shiatsu Milano Editore

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...La parola fermentare viene dal latino fervere che vuol dire bollire nome legato alle bollicine di gas carbonico che si formano durante il processo di trasformazione di una sostanza organica prodotta dall’azione di enzimi creati da batteri o da piccolissimi funghi. Questa trasformazione permette la conservazione del cibo senza consumo di energia, lo rende più digeribile inibendo alcune sostanze anti nutritive e lo arricchisce di sostanze altamente vitali....

...In Europa e dintorni vi sono una grande gamma di prodotti fermentati.
I crauti ( i Sauerkraut tedeschi cavolo capuccio fementato con il sale ) che con l’aggiunta o meno di aromi o altre verdure sono prodotti tipici specie del nord Europa.
Nell ’Europa del’est vi è una vasta gamma di zuppe fermentate come lo Zurek in Polonia e l’infinita gamma di zuppe fatte con le barbabietole rosse.
Per non parlare delle tante forme di pesce marinato o in salamoia e dell’infinità di bevande (birra, vino ecc.) e di derivati dal latte (yogurt, kefir, il laban arabo, l’airag mongolo (latte di cavalla fermentato), la panna acida)...
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...In oriente vi è una grande tradizione di cibi fermentati a partire da tutti i derivati della soia (salsa di soia, miso in giappone e tempeh in Indonesia) e proseguendo con una moltepice varieta di verdure fermentate (insalatini o pickles) preparati con il sale o con il miso (misozukè) o con aggiunta di crusca di riso (tsukemono) in giappone o con i kimchi della corea, il sajour asin dell’indonesia o lo hum-choy il cavolo fermentato cinese....
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Le proprietà

...In pratica la fermentazione è una predigestione controllata che, oltre a inibire fattori antinutritivi, scinde in molecole più semplici, grassi, proteine e carboidrati rendendo i cibi più facilmente digeribili. Questo avviene nella frollatura della carne e nella stagionatura di salame e formaggio e nella produzione del tempeh.

I principali tipi di fermentazione sono quella lattica (in assenza di aria) e quella acetica che producono acido lattico e acetico che insieme ai lattobacilli ed ad innumerevoli altri microorganismi vanno ad arrichire la flora batterica intestinale. Quest’ultima è fondamentale per la sintesi di alcune vitamine, per la difesa da infezioni e putrefazioini e per la risposta immunitaria....

...Nella fermentazione si liberano una grande quantità di enzimi, proteine che hanno il compito di agevolare reazioni chimiche indispensabili per tutti i processi metabolici come per es. la digestione e la rigenerazione dei tessuti.

Inoltre vengono rese disponibili sostanze di difficile assimilazione: la fermentazione scinde legami molecolari che il processo digestivo non riesce a scindere moltiplicando la presenza di minerali negli alimenti.

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Cibo per donne tristi

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Da  "Trattato di culinaria per donne tristi"  di Hector Abad Faciolince

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Fai piroette col corpo e l’immaginazione per evadere dalla tristezza. Ma chi ha detto che è proibito essere tristi? In realtà, molte volte, non c’è nulla di più sensato che essere tristi; quotidianamente succedono cose, agli altri o a noi, per cui non c’è rimedio, o per meglio dire, per cui c’è quell’unico e antico rimedio di sentirsi tristi.
Tristezza
Non lasciare che ti prescrivano l’allegria, come chi ordina un ciclo di antibiotici o dei cucchiai di acqua di mare a stomaco vuoto. Se lasci che trattino la tua tristezza come una perversione o, nel migliore dei casi come una malattia, non sei perduta; oltre a essere triste ti sentirai in colpa. E non hai colpa di essere triste. Non è normale sentire dolore quando ti tagli? Non ti brucia la pelle se ti danno una frustata?
Be’, allo stesso modo il mondo, la vaga successione dei fatti che accadono (o che non accadono), creano un fondo di malinconia. Lo diceva già un poeta malinconico: “come l’aria riempire vuoti che si formano tra i corpi, così la malinconia occupa le pause e gli intervalli tra le passioni; essa si insedia nei minimi spazi liberi, riempi tutti gli intervalli tra le passioni, fai in modo che un’anima in cui non c’è né piacere né felicità sia comunque un’anima in cui accade qualcosa“.
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Vivi la tua tristezza, palpala, sfogliala nei tuoi occhi, bagnala di lacrime, avvolgila nelle grida o nel silenzio, copiala nei quaderni, segnala sul tuo corpo, fissala sui pori della tua pelle. Infatti, solo se non ti difendi fuggirà, a momenti, in un altro posto che non è il centro del tuo dolore intimo.

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E per degustare la tua tristezza devo consigliarti anche un piatto malinconico: cavolfiore nella nebbia. Si tratta di cuocere quel fiore bianco e triste e consistente, con il vapore acqueo. Lentamente, con lo stesso odore dell’alito che emana la bocca nei lamenti, si cuoce fino a intenerirsi. E, avvolto nella nebbia, nel suo vapore fumante, aggiungimi olio d’oliva e aglio e un po’ di pepe e salalo con le lacrime che siano tue. E assaporalo lentamente, mordendolo dalla forchetta, e piangi di più e piangi ancora, che alla fine ecco il fiore andrà succhiando la tua malinconia senza lasciarti asciutta, senza lasciarti tranquilla, senza rubarti l’unica cosa tua in quel momento, l’unica che nessuno potrà mai toglierti, la tua tristezza, ma con la sensazione di aver condiviso con quel fiore immarcescibile, con quel fiore assurdo, preistorico, con quel fiore che i fidanzati non chiedono mai dal fiorai, con quel fiore del cavolo che nessuno mette nei vasi, con quell’anomalia, con quella tristezza fiorita, la tua tristezza di cavolfiore di pianta triste e malinconica.
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Aglio, menta e basilico

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Da  "Aglio, menta e basilico. Marsiglia, il noir e il Mediterraneo"  di Jean-Claude Izzo

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Mi piace sentire Marsiglia vibrarmi sotto la lingua.
Marsiglia non è provenzale. Non lo è mai stata. Nella maggior parte dei ristoranti, quindi, si mangiano cose semplici, e a prezzi onesti, piatti senza artifici legati non ha una tradizione ma a una tenace fedeltà alle origini.
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Qualcuno l’ha già detto: la cucina qui non innova, non “si mescola“, perpetua. Mangiare e ti riporta al tuo paese. Mettersi a tavola, in casa come al ristorante, in famiglia, tra amici, vuol dire far rivivere la memoria, i ricordi.
Perciò non parlerò della cucina provenzale.

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Questo vuol dire spazzare via, finalmente, tutte le ambiguità che pesano su Marsiglia e la sua cucina. Una città in cui si mangerebbe se non proprio male, perlomeno mai un granche bene. E che, ci ripetono, manca impietosamente di fantasia. Un giorno ho letto addirittura che bisognerebbe inventare tajine di bouillebaissè. Perché no, se c’è qualche estimatore. Però, mi viene da dire con un sorriso, se non esiste forse è perché non ce n’è motivo. Capitemi bene: sono di questa città, è vero, e spesso mangio con più gusto un trancio di pizza preso da Roger e Nénette, guardando il mare con le chiappe su uno scoglio, piuttosto che annoiarmi davanti a una sogliola in crosta con il suo “succo d’oliva” in un ristorante ovattato dove si accalcano quelli che sognano una città diversa. Omogenea, priva di passione, e per forza di cose senza esuberanza. Provenzale, e civile, oserei dire. Dove l’aglio sarebbe saggiamente limitato, se non bandito dai pranzi - quelle famose colazione d’affari in cui, più che mangiare si pilucca. A me, quando mangio, mi piace sentire Marsiglia vibrarmi sotto la lingua. Selvaggia e volgare, come possono essere una spigola, un sarago ho delle triglie con finocchi alla griglia condite solo con un filo d’olio d’oliva, come da Paul o all’Oursin. Questo significa che i ristorante dove vado volentieri raramente figurano sulle guide, e non ricevono mai cappellini da cuoco chiavi d’oro. Ma che importa! La gente che si incontra in certi posti non è necessariamente quello che mi va di frequentare.

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D’altronde, quelli apprezzano solo con moderazione aïoli, bouillebaissè o purè di acciughe. Non sanno niente del piacere delle focaccine fritte. Non hanno mai assaggiato lumache in salsa piccante, ne la salsa di ricci di mare, ne i piedini e le interiora di montone, oppure il merluzzo con cipolla e salsa alle erbe, la salsa bohemienne, lo stufato di fave fresche. E ignorano del tutto la gioia di una zuppa al basilico, appena tiepida, all’ombra di un pino. Non è un caso se parlo di questi piatti. La cucina marsigliese da sempre si basa sull’arte di abbinare pesci e verdure disdegnate dalla ricca borghesia di armatori, “la gente del posto“, che le terre dei mas e delle bastides della regione di Aix rifornivano di prodotti raffinati: selvaggina e volatili, agnelli, tartufi, formaggi e frutta. La bouillebaissè e nata così. Per via di quel pesce dall’aspetto orribile, lo scorfano, invendibile perché è immangiabile. Potremmo fare un mucchio di esempi. Cucina da poveri, certo. Però la sua genialità continua ancora a deliziarci, anche se oggi si litiga sui mille modi diversi di preparare la bouillebaissè. Per non far arrabbiare nessuno, dirò che e meglio se ve la preparate da soli. Ma lo stesso vale per tutte le ricette marsigliesi, e più in generale per i piatti del Mediterraneo: couscous, tajine oppure paella, o anche solo pasta al pomodoro con polpette e uccelletti.

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E così ritroviamo tutta la convivialità del sud: mangiare è una festa. Quando sono in un ristorante infatti, è questo che cerco prima di tutto: l’atmosfera familiare. È vero, i piatti non sempre sono all’altezza  un giorno dopo l’altro, come da Etienne, al Panier. Ma è un po’ come la vita. Ci arrangiamo con quello che offre la giornata. Sappiamo che un giorno arriverà qualcosa di meraviglioso, non può che essere così. E resteremo senza parole davanti ai ravioli in salsa d’olive, ai calamari al prezzemolo o anche solo a un po’ di frittura. Tutto qui. Marsiglia mi va bene così.
 

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